Terza puntata

 Marilyn Monroe at Cyro’s, Modern Screen, November 1954.

Dell Publications, Inc. New York, publisher of Modern Screen, Public domain, via Wikimedia Commons

Marilyn era stanca di impersonare l’oca bionda. Questo la portò a rifiutare tutti i soggetti che in quei mesi di fine 1954 le venivano offerti dalla Fox e a scendere in guerra con Zanuck. Il suo amico Milton Greene, fotografo di Look, le consiglio di rompere con la casa di produzione, di trasferirsi a New York e fondarne una propria, in società con lui. Mentre avvocati e agenti discutevano Marilyn scomparve. Con una parrucca nera, occhiali scuri e un abito dimesso acquistò un biglietto di sola andata per New York con il nome di Zelda Zonk. “Avevo bisogno di scoprire chi ero” disse in seguito. Norma Jeane, la bambina triste e amareggiata che ora guardava il mondo con gli occhi della diva Marilyn, continuava a credere di non aver mai vissuto: così pensò di dire addio all’oca bionda e di incontrare una volta per tutte la vera se stessa. Rimase incantata da New York: faceva lunghe passeggiate con la sua parrucca nera e gli occhiali, senza un filo di trucco, per esplorare Manhattan e secondo gli amici non era mai stata così bella. Dopo anni passati nella fabbrica dei sogni di Hollywood voleva chiudere col passato e vivere come una persona normale. Con Zelda Zonk era nata una delle… altre.

Nel gennaio del 1955 durante una conferenza stampa fu annunciata la nascita della Marilyn Monroe Productions. Successivamente Marilyn conobbe Lee Strasberg, direttore artistico del celeberrimo Actor’s Studio (da lui fondato nel ‘47 con Elia Kazan), dove praticavano tra gli altri Marlon Brando, Eli Wallach, Paul Newman, Ben Gazzara, James Dean. Strasberg rimase affascinato da lei e la accettò come allieva: la vedeva come circonfusa da una luce fragile e sottile, pronta per essere animata e vivificata.

In questi mesi Marilyn iniziò a frequentare Arthur Miller, che non l’aveva mai dimenticata; non si faceva però mancare altri incontri: un certo ‘Carlo’, che altri non era se non Marlon Brando; John F. Kennedy, allora senatore, ogni volta che passava da New York; Joe DiMaggio, con il quale si era riappacificata. Sia per le frequentazioni con Miller, che allora era definito dalla stampa un autore sovversivo di sinistra e antiamericano, sia per quelle con Kennedy, finì nel mirino del potentissimo capo dell’FBI, Edgar J. Hoover ed è da allora che iniziò ad essere sotto sorveglianza costante. In quel periodo Marilyn beveva molto e prendeva molte pillole assieme al suo amico Milton Greene; a New York, nel mondo dello spettacolo si ricorreva in continuazione ai farmaci: eccitanti per le rappresentazioni o le interviste, se si era reduci da una sbronza o depressi; calmanti, per contrastare l’ansia o semplicemente il batticuore causato dagli eccitanti. Strasberg, alle cui lezioni Marilyn partecipava diversi giorni alla settimana, sosteneva che alcuni studenti non avrebbero potuto beneficiare del suo Metodo di recitazione (mutuato da Stanislavskij, famoso regista e attore teatrale russo), se non avessero liberato le emozioni legate al loro passato con l’aiuto della psicanalisi. Così Marilyn, su suo consiglio, cominciò a frequentare sessioni di psicoterapia. Ad Arthur Miller non piaceva Strasberg; pensava che Marilyn, così vulnerabile, ne fosse diventata succube, e che lui si arricchisse alle sue spalle, visti gli ottimi riscontri pubblicitari che l’Actor‘s Studio aveva ottenuto fin dal momento in cui la stampa aveva resa nota la presenza dell’attrice al laboratorio teatrale. Nel giugno del ’55, alla prima newyorkese di Quando la moglie è in vacanza, Marilyn si presentò al braccio di Joe DiMaggio. Il film ebbe un successo talmente enorme che la Fox, per non perdere l’attrice, dovette accettare sia la neonata Marilyn Monroe Productions, sia un nuovo contratto per lei molto più vantaggioso: sarebbe apparsa in quattro film della Fox nei sette anni successivi con un compenso di centomila dollari a film e avrebbe avuto l’ultima parola sul regista prescelto; per il resto, sarebbe stata libera di apparire in quante altre produzioni avesse voluto. L’oca bionda aveva vinto.

Marilyn Monroe in Bus Stop, 1956 (screenshot del film).

Il 1956 fu aperto con un duplice annuncio: Marilyn avrebbe interpretato per la Fox la versione cinematografica del successo di Broadway Fermata d’autobus (1956), con la regia di Joshua Logan; in più, il 7 febbraio almeno 150 tra giornalisti e fotografi accorsero ad una conferenza stampa al Plaza Hotel di Manhattan in cui l’attrice e sir Laurence Olivier annunciarono che sarebbero stati protagonisti di Il principe e la ballerina (1957), con la regia dello stesso attore inglese. Olivier, gentilissimo con lei ma piuttosto altezzoso di suo, pretese di avere un posto di rilievo nella locandina del film, ma alla conferenza stampa fu discretamente ignorato dai giornalisti e rimase scandalizzato dalla frenesia che si scatenò per l’accidentale rottura di una spallina del vestito di Marilyn.

Quando a maggio Marilyn fece ritorno a Hollywood per l’inizio delle riprese di Fermata d’autobus, ricevette un’accoglienza trionfale. Le ci vollero più di due ore per attraversare la folla di migliaia di ammiratori e centinaia di fotografi che si era radunata all’aeroporto. Aveva sperato che Lee Strasberg potesse accompagnarla e guidarla nell’interpretazione, ma lui non poteva abbandonare i suoi studenti. Così decisero che sarebbe andata con lei Paula, sua moglie, anch’ella attrice e insegnante all’Actor’s Studio, con la quale Marilyn aveva un ottimo rapporto. La Monroe pretese e ottenne che Paula fosse assunta dalla Fox per tutta la durata delle riprese e con lei iniziò a studiare il copione e a lavorare sul personaggio secondo il Metodo. Trovò così l’identità di Cherie, una ragazza di provincia cantante di seconda categoria nei saloon: perfezionò un linguaggio strascicato che non abbandonò più fino alla fine delle riprese anche fuori dal set; elaborò un trucco particolarmente pallido, che ne attenuava la sfolgorante bellezza, perché il suo volto fosse quello di una ragazza stanca, che lavorava fino alle quattro del mattino e dormiva poco; curò l’abbigliamento del personaggio scegliendo in prima persona abiti di scena già usati e pacchiani, a bella posta sdruciti e rammendati con fili di diverso colore, con calze a rete smagliate e ricucite alla bell’e meglio. Logan, il regista del film ebbe a dire: “L’atteggiamento di Marilyn fu estremamente serio e incredibilmente coraggioso. Era un’attrice celebre, disposta a rischiare la propria posizione con un trucco che altre attrici avrebbero rifiutato e si impegnò senza riserve…Marilyn è più vicina alla genialità di qualsiasi attrice che io abbia conosciuto…E’ l’attrice cinematografica più completa ed autentica dalla Garbo in poi. Marilyn è puro cinema”. Sul set l’attrice appariva scostante e meno disposta a dare confidenza ai membri della troupe rispetto a come la ricordavano alla Fox; in realtà parlava poco per l’enorme, continuo sforzo di concentrazione ai fini di ottenere il transfert interpretativo ed essere il personaggio, non recitarlo. Spesso sembrava dimenticare le battute, per cui gli attori diventavano furibondi nei loro camerini pensando che non si fosse preparata a sufficienza. In realtà, come testimoniò Paula Strasberg, conosceva le battute alla perfezione; quello che le accadeva era di perdere il contatto con il personaggio, frutto di un’immersione continua che doveva durare per tutta la ripresa e che a ogni ripetizione della scena aumentava sempre più: in Fermata d’autobus Marilyn diventò Cherie. Il film sarebbe uscito nel mese di agosto ’56, con grande successo di critica.

 Marilyn Monroe and Arthur Miller at their wedding

Macfadden Publications New York, publisher of Radio-TV Mirror, Public domain, via Wikimedia Commons

Nel maggio ’56 Marilyn apparve sulla copertina di Time e nel lungo articolo all’interno si accennava alla sua storia d’amore con Arthur Miller. I primi di giugno Miller, che era sposato, riuscì ad ottenere il divorzio e pochi giorni dopo ricevette una citazione da parte del Comitato Parlamentare per le Attività Antiamericane, data la sua frequentazione con membri del partito comunista.

All’udienza si rifiutò di rivelare i nomi di chi partecipava assieme a lui alle riunioni politiche e per questo fu incriminato. Tuttavia non fu condannato, qualcuno sostiene per l’intervento del senatore Kennedy. Il 29 giugno fu celebrato il matrimonio e qualche giorno dopo gli sposi partirono per Londra, dove sarebbero iniziate le riprese de Il principe e la ballerina. All’arrivo a Heathrow la coppia era attesa da Laurence Olivier, con la moglie Vivien Leigh, e da centinaia tra giornalisti, fotografi e poliziotti, oltre che da migliaia di ammiratori festanti. Ormai Marilyn Monroe era aldilà della celebrità: era diventata la donna più famosa del mondo.

Sir Laurence Olivier and Marilyn Monroe taken to publicize the film they appeared in The Prince and the Showgirl in 1957

Warner Bros. Pictures, Public domain, via Wikimedia Commons

Il primo giorno di prove, ai Pinewood Studios, fu un disastro e da quel momento le cose andarono di male in peggio. Olivier aveva un atteggiamento affettato e paternalistico con Marilyn, il che non sfuggiva al suo sensibilissimo barometro emozionale. Lui le disse: “Tutto quello che devi fare, cara Marilyn, è essere sexy” e lei ne restò sconvolta, considerandola un’osservazione umiliante e irrispettosa. Da allora Marilyn diventò scostante e astiosa sul set e cominciò a lamentarsi continuamente di Olivier con Miller che, imbarazzato, non sapeva cosa replicare. Olivier, a sua volta, considerava umilianti gli atteggiamenti ostili che Marilyn assumeva nei suoi confronti. Né aveva un spalla su cui piangere, dal momento che il suo rapporto con Vivien Leigh era finito da tempo a causa soprattutto della malattia mentale della moglie, che soffriva di frequenti crisi maniaco-depressive. Marilyn cominciò a credere che Miller non fosse in grado di comprenderla e ne fu certa quando trovò un suo scritto in cui si lamentava dell’instabilità emotiva della moglie. Allora entrò in crisi: delusa dal marito, disprezzata dal regista, poco aiutata agli amici, tra i quali non brillava per vicinanza Milton Greene che, come socio della Marilyn Monroe Productions, tentava solo di mediare tra lei e Olivier per poter terminare il film. Furono descritte frequenti fughe dal set da parte di Marilyn che, secondo alcuni biografi, si incontrava frequentemente con John Kennedy, in quel periodo a Londra per lavoro.

Nonostante la palpabile tensione che si respirò sul set durante tutte le riprese, e malgrado l’esilità della trama, Il principe e la ballerina ebbe un’accoglienza favorevole: la critica fu unanime nel giudicare ‘radiosa’ e matura l’interpretazione di Marilyn, e perfino Olivier fu costretto ad ammettere che “aveva dato prova di essere una grande attrice”.

Al ritorno dall’Inghilterra, all’inizio del 1957, Milton Green fu estromesso dalla Marilyn Monroe Productions. Miller e la Monroe tornarono a New York, dividendo il loro tempo tra l’alloggio di Manhattan e un cottage a Long Island. Qualcosa era cambiato nel loro rapporto: Marilyn si mostrava per lo più depressa e manifestava un intenso desiderio di avere un figlio per potersi “sentire al suo posto nel mondo”. Trovò una nuova psicoterapeuta, Marianne Kris, nata e cresciuta a Vienna e amica della figlia di Freud, Anna. Nel giugno 1957 Marilyn rimase incinta: la gioia fu talmente esplosiva che la coppia finì per ignorare gli avvertimenti dei medici che avrebbe potuto trattarsi di una gravidanza extrauterina. Il 1° agosto Marilyn si sentì male e perse il bambino, sprofondando nella più cupa infelicità. A questo periodo si può far risalire l’abitudine di ricorrere ai barbiturici in dosi massicce, tanto che per la prima volta dalla morte di Johnny Hyde Marilyn si procurò un overdose e fu salvata per miracolo da Miller, che chiamò un’ambulanza. Tra i due si stava verificando un crescente distacco, nonostante lui avesse pubblicato un racconto chiamato Gli spostati e stesse cercando di trarne una sceneggiatura con un ruolo fatto apposta per lei. Marilyn trovava il marito freddo e distante, critico nei suoi confronti ed era convinto che Miller volesse lucrare sulla sua fama di grande attrice. In quei giorni dei primi mesi del 1958 dalla Fox arrivò un progetto presentato da Billy Wilder, intitolato A qualcuno piace caldo.