Cineforum “IN NOME DELLA LEGGE: IL DILEMMA MORALE”
Cineforum “IN NOME DELLA LEGGE: IL DILEMMA MORALE”
Presentazione della rassegna 14/11/2026
14/10/2025 - ore 18:00
SALA DEL LECCIO (Complesso S.Paolo) - Via F. Selmi 67 - Modena
ingresso libero
VENERDI’ 14 NOVEMBRE 2025 – ore 18
SALA DEL LECCIO (Complesso S.Paolo) – Via F. Selmi 67 – Modena
presentazione della Rassegna Cinematografica:
“In nome della legge: il dilemma morale”
La presentazione sarà condotta da Marco Barozzi responsabile cinema del Consorzio Creativo e curatore della rassegna.
Le proiezioni dei 5 film scelti saranno effettuate al Cinema ASTRA nei giorni indicati nella locandina, alle ore 21:00, ingresso libero.
Ciascun film sarà preceduto da un inquadramento biografico-illustrativo e da una pagina critica.
Il tema affrontato dalla rassegna cinematografica 2025-26 del Consorzio Creativo scaturisce dalla sensazione di inquietudine che un momento storico come quello attuale ha portato inevitabilmente con sé. La constatazione del successo in varie parti del mondo occidentale di forze politiche che tentano di snaturare i principi democratici e che, con il tacito assenso di intere cittadinanze apparentemente distratte, favoriscono lo scivolamento di alcune democrazie storiche verso forme autocratiche, costituisce certamente il primum movens di questo stato d’animo. Che si muta in sgomento se si considerano i conflitti in corso, in particolar modo quello medio-orientale, attorno al quale si è consumato lo sgretolamento di tutti i principi e i valori basilari della democrazia, del rispetto del diritto internazionale e dell’umanità; oppure alcuni degli atti messi in opera dall’attuale Presidente degli Stati Uniti nei confronti delle Università, di giornalisti indipendenti o degli oppositori politici. Sinistri segnali arrivano anche dal nostro paese, dato il tenore di alcuni atteggiamenti assunti e dei provvedimenti proposti dal governo di destra attualmente al potere, che paiono in netto contrasto con i principi di uguaglianza e tendono verso la delegittimazione e colpevolizzazione del dissenso. Ad esempio, uno dei provvedimenti approvati dal parlamento italiano è il Decreto Sicurezza del giugno 2025, secondo le cui disposizioni sarebbero punibili gli studenti che mettessero in atto un pacifico sit-in di protesta di fronte alla propria scuola ed eventualmente bloccassero il traffico; oppure gli operai che organizzassero un picchetto di protesta di fronte ai cancelli della loro fabbrica. Null’altro che manifestazioni di dissenso o resistenza non violenta allo status quo, come quelle che praticava Gandhi in India o in Italia Marco Pannella. Di fronte a soprusi di tale portata è inevitabile che all’inquietudine montante finiscano per associarsi anche sentimenti di insofferenza e opposizione, che possono sfociare nel rifiuto e nella ribellione contro quelle che vengono vissute come vere e proprie ingiustizie. Ecco, quindi, tornare prepotentemente alla ribalta il tema del conflitto morale: quanto siamo disposti a rischiare per il rispetto dei nostri principi quando le leggi dello stato sono in contrasto con la nostra etica personale? E fino a che punto è lecito (o sopportabile) spingersi nella difesa di leggi non scritte che sgorgano direttamente dalla nostra coscienza in opposizione alla ragion di stato? La sfera personale della morale e dell’etica, guidata dalla coscienza individuale, può essere improntata a convinzioni religiose, filosofiche o semplicemente a un forte senso di ciò che è giusto o sbagliato. E la potenza di tale codice interiore può arrivare al punto da spingere l’individuo a rischiare di perdere ciò che ha di più caro al mondo, fino al sacrificio estremo.
Da questi stati d’animo, condivisi da più parti, è nata l’idea guida per la rassegna cinematografica 2025-26. Tutti i film che verranno proposti hanno infatti come tema dominante quello del conflitto interiore derivante dal contrasto tra il codice etico personale e l’ordinamento istituzionale. I protagonisti delle vicende in essi narrate facilmente assumono lo status di eroi civili o martiri religiosi e finiscono quasi sempre per conquistare apprezzamenti e consenso unanime: l’opposizione al potere (specie se fatta da altri) risulta infatti in qualche modo liberatoria, in quanto dimostra che il potere è discutibile, in qualche caso debole, perché prima o poi costretto a giustificare il merito delle proprie azioni, se non altro di fronte alla storia. D’altra parte tali figure sono spesso devote a una causa persa, per cui vale però la pena combattere in quanto è nella battaglia stessa che si identifica l’unica possibile vittoria. Verrà chiamata in causa anche la cosiddetta “tentazione del martirio” da cui i protagonisti dei dilemmi morali possono essere trasportati nelle loro scelte estreme, poiché talora è solo attraverso un atto di questa portata, che trascende il tempo e le cose umane, che gli sconfitti possono accedere alla vittoria definitiva sui loro aguzzini. Il criterio della scelta dei titoli della rassegna si è basato sul valore storico e artistico delle pellicole proposte, indipendentemente dal loro successo commerciale. L’elenco delle proiezioni è il seguente:
Silence (Martin Scorsese, 2016)
I cannibali (Liliana Cavani, 1969)
La passione di Giovanna d’Arco (Carl Theodor Dreyer, 1928)
Io confesso (Alfred Hitchcock, 1953)
La battaglia di Hacksaw Ridge (Mel Gibson, 2016)

Il tema del conflitto tra legge morale e legge positiva è stato spesso chiamato in causa dalla letteratura fin dall’antichità, a partire da Sofocle, che nel V secolo a.c. (esattamente nel 442) mise in scena l’Antigone. Da allora e lungo oltre duemila anni questo personaggio, che rappresenta le istanze di libertà individuali in contrapposizione alla macchina del potere politico e incarna l’eterno conflitto tra giustizia e legge, è stato ripreso e reinterpretato innumerevoli volte (George Steiner nel 1984 ne contò almeno 1530 versioni diverse), con differenze legate alle diverse sensibilità e alle condizioni politiche di ciascun tempo. Nell’opera di Sofocle la protagonista sfida la ragion di stato nella figura di suo zio Creonte, re di Tebe, e non esita a sacrificare la sua vita pur di dare al corpo del fratello Polinice la sepoltura che il re non aveva autorizzato per motivi politici. Per Sofocle non c’è soluzione al dilemma morale: quelle che si scontrano sono due pretese entrambe legittime e perciò inconciliabili. Antigone si batte in nome di un comandamento morale, in nome di quelle “leggi non scritte” che le impongono di seppellire il fratello per onorare la pietas verso i morti. Creonte difende un principio giuridico con l’ostinazione di chi ritiene che nessuna legge morale possa elevarsi al di sopra della legge dello stato. Entrambi hanno ragione, Antigone come sorella, Creonte in quanto legittimo sovrano. Entrambi hanno torto, Antigone perché di fatto trasgredisce la legge, Creonte perché di fatto offende la pietà. Non c’è dunque via d’uscita e Sofocle lo dimostra sacrificando entrambi i protagonisti all’inconciliabilità delle loro posizioni: facendo morire Antigone e distruggendo, con simbolico contrappasso, l’intera famiglia di Creonte. Da Sofocle in poi il gesto coraggioso di Antigone è stato perlopiù accolto come quello di un’eroina simbolo nei secoli dell’emancipazione femminile e della libertà di coscienza contro ogni sopraffazione. Tra le numerose reinterpretazioni del personaggio spiccano quella di Jean Anouilh, che mise in scena la sua versione della tragedia nel 1944, collocandola in Francia durante la guerra e in pieno regime di Vichy (la versione sarà vivamente contestata nel dopoguerra da parte dei molti che vollero vedere tra le pieghe del testo un’apologia del governo collaborazionista); e quella del 1947 di Bertolt Brecht che, ambientandola nella Berlino del ’45, un mese prima della fine della guerra, rivisitò il mito delineando un netto squilibrio nel conflitto che oppone Antigone a Creonte, perché quest’ultimo è realmente disegnato come un tiranno senza scrupoli, mentre Antigone è una vittima che si ribella a un’autorità disumana.
E proprio della vicenda di Antigone si occupa Liliana Cavani nel suo secondo lungometraggio I cannibali (1969), che è ambientato nella contemporaneità, cioè al tempo della rivoluzione culturale che a cavallo del 1968 travolse e intaccò le certezze dell’Italia conservatrice e borghese. «I cannibali sono i giovani che rifiutano la civiltà se essa dev’essere quella del regime vigente – ebbe in seguito a spiegare la regista – e pone con forza e passione il conflitto tra pietà e legge, radicato nel contesto storico e politico di quegli anni nei quali veniva avanzato da più parti il tema della umanizzazione del potere». I cannibali sono i giovani così come sono visti dalla borghesia, ribelli da riformare e ricacciare indietro. Il film si svolge in una Milano plumbea e trafficata, ma è fuori dal tempo, così come il mito da cui è tratto, e realizza non una cronaca, ma una rappresentazione di ciò che secondo la regista potrebbe accadere in ogni tempo e in ogni luogo.
La Passione di Giovanna d’Arco di Carl Theodor Dreyer (1928) è un capolavoro del cinema e va considerato come una delle più significative opere d’arte del ‘900, allo stesso modo di opere quali Guernica di Picasso o L’urlo di Munch. Le immagini del film raggiungono una potenza espressiva, una forza d’impatto ed un magnetismo di rara bellezza, tanto da imprimersi indelebilmente nella memoria dello spettatore, fino a costituire una sorta di archetipo, un codice genetico del cinema che non è più possibile dimenticare. Il famoso critico francese André Bazin, padre dei Cahiers du Cinéma e della Nouvelle Vague, così ebbe a dire del suo regista nel 1954: «Dreyer è, forse, con Eisenstein, il solo cineasta la cui opera eguagli in dignità, nobiltà e possente eleganza i capolavori della pittura e non soltanto vi si ispira, ma più sostanzialmente ne ritrova il segreto a uguali profondità estetiche». E’ il primo film della rassegna che tratta il tema del martirio in nome della fede religiosa, quello di una giovane donna credente, contadina analfabeta, messa a confronto nel 1431 con un consesso di teologi e giuristi ottusi e intransigenti. E’ considerato il capolavoro assoluto dell’espressionismo francese ed è noto per il suo uso innovativo dei primi e primissimi piani che esplorano il volto umano come riflesso dell’anima e della sofferenza, a rappresentazione della lotta interiore ed esterna della protagonista contro i suoi carnefici. L’attrice Renée Falconetti si immedesimò totalmente nel personaggio di Giovanna, tanto da rimanere imprigionata in un disturbo nevrotico che condizionò i restanti giorni della sua vita.
Il conflitto interiore che dilania il protagonista di Io confesso di Alfred Hitchcock (1953) è molto diverso dai precedenti. In questo caso il conflitto è tutto interno al personaggio di padre Logan (Montgomery Clift), un sacerdote che riceve in confessione da parte di un assassino la notizia dell’omicidio da lui commesso, delitto del quale verrà egli stesso incolpato. Il dilemma consiste nella scelta che il prete deve compiere tra il tradimento dei principi religiosi ai quali ha improntato la propria vita (il segreto della confessione) e la propria salvezza, che otterrebbe rivelando il nome dell’omicida. Ma il vero dramma che vive il protagonista della vicenda si comprende soltanto se si realizza che esso nasce da un profondo senso di colpa: e cioè dal sollievo che il prete sente nascere dentro di sé alla notizia dell’omicidio, in quanto la vittima lo ricattava minacciando di svelare un segreto che avrebbe distrutto la sua vita e quella di una donna per lui molto importante. Il film ebbe scarso successo di pubblico, mentre la critica, specie quella della Nouvelle Vague francese, lo salutò come un capolavoro e uno dei migliori film del regista inglese. Forse è proprio per la scarsa comprensione delle ragioni profonde del conflitto interiore, pensava Hitchcock, che il pubblico si era annoiato vedendo il film. Ed è proprio dal profondo senso di colpa morale che finisce per nascere in questo prete dall’etica inscalfibile la tentazione del martirio, che lo spinge a voler riscattare con una condotta eroica, paradossale (almeno per chi non condivide i principi della fede cattolica) ciò che non è redimibile e cioè un peccato di coscienza per cui ai propri occhi non può più considerarsi innocente.
La battaglia di Hacksaw Ridge di Mel Gibson (2016) è un film che consente di prendere in esame l’obiezione di coscienza, uno dei meccanismi attraverso i quali gli ordinamenti moderni cercano di regolare il conflitto tra l’obbedienza alla legge e il suo superamento in nome di principi superiori etici o religiosi. La difficoltà nell’applicazione di questo strumento sta nel fare in modo che l’opzione, che ha un valore individuale, non metta in crisi l’applicazione generale della legge, come talvolta è avvenuto. Il film affronta la storia vera di un soldato della Seconda Guerra Mondiale, Desmond Doss (Andrew Garfield), avventista del settimo giorno che in nome della fede rifiutava la violenza in tutte le sue forme, con una particolare avversione per le armi da fuoco, ma che d’altra parte era convinto di dover fare la sua parte per il Paese in guerra. Per questo motivo si arruolò come paramedico e mettendo a rischio la propria vita ne salvò numerose altre meritandosi addirittura la Medaglia d’Onore del Congresso senza aver sparato un colpo. Mel Gibson, l’attore-regista di tanti film di successo (uno per tutti Braveheart, 1995), è un estremista conservatore, fieramente ed esplicitamente ideologico. Proprio per questo è interessante esplorare il suo punto di vista sulla guerra, alla quale per altro si dichiara apertamente contro. Più che dalla guerra egli è affascinato dalla figura del guerriero, dal coraggio e dal valore, da quell’espressione squisitamente umana di sacrificio per una collettività che è incarnata dall’esperienza militare. La guerra, quindi, secondo Gibson, è un problema etico prima che militare. La battaglia di Hacksaw Ridge non è certamente un film pacifista, ma non è nemmeno un’apologia della guerra fine a sé stessa, in quanto la utilizza per porre un problema di etica personale. La retorica, da cui il film non è immune, in questo modo cede di fronte al dubbio: che senso ha salvare il proprio paese uccidendo altre persone? La risposta di Desmond Doss è che non esistono ostacoli invalicabili quando si è sorretti da valori e principi saldi e a cui non si è disposti a rinunciare per nulla al mondo.
In Silence Martin Scorsese torna ancora una volta (dopo L’ultima tentazione di Cristo, Aldilà della vita, Kundun) a ragionare sul significato di fede, sul conflitto interiore e culturale e sulla necessità di aprirsi all’altro per comprendere se stessi e dare un reale peso alle proprie convinzioni. Padre Rodrigues (Andrew Garfield) e padre Garupe (Adam Driver), al loro arrivo in Giappone nel 1637, sono i semplici testimoni di una fede che essi stessi inizialmente faticano a comprendere. Di fronte al dubbio adotteranno scelte opposte: colui che ha deciso di non dubitare più e di affrontare le conseguenza di una fede diventata irriducibile perde lo status di protagonista e viene visto morire dall’altro da lontano, da una distanza che pare esasperare l’icasticità della scena e rivelare la vera natura della scelta. La passione di padre Garupe non è quella di un dio che paga per i peccati degli uomini, ma è un falso martirio, quello di un uomo che crede di vivere a immagine e somiglianza di Cristo e così facendo fa scontare agli altri il proprio peccato di superbia. Padre Rodrigues intraprende invece un lungo e doloroso cammino di accettazione del mistero dell’esistenza, in cui tutti sembrano avere allo stesso tempo torto e ragione (proprio come nell’Antigone di Sofocle): senza curarsi di vivere screditato per tutto il resto della sua vita (è questo il suo calvario), rinuncia al modello della fede ostentata per conquistarne una del tutto personale, privata, intima. Scorsese quindi, in risposta alla pressante domanda su cosa sia giusto e cosa no, separa il racconto della vita vissuta da quello della vita spirituale. Anche questa è una scelta, un compromesso accettabile per chi si trova di fronte soltanto il Silenzio, che non è solo il silenzio di Dio, ma anche il silenzio del mondo.
Marco Barozzi, curatore della rassegna.
Bibliografia
Francois Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock. Pratiche Editrice, Parma-Lucca, 1977
Peter Bogdanovich, Chi diavolo ha fatto quel film? Conversazioni con registi leggendari. La nave di Teseo, Milano, 2024
Marta Cartabia e Luciano Violante, Giustizia e mito. Il Mulino, Bologna, 2018
Antoine de Baecque, Assalto al cinema. Il Saggiatore, Milano, 1993
Eric Rohmer e Claude Chabrol, Hitchcock. Marsilio, Venezia, 1986
Sofocle, Anouilh, Brecht, Antigone, a cura di Maria Grazia Ciani. Marsilio, Venezia, 2000
George Steiner, Antigones, Yale University Press, New Haven, 1984
25 ottobre 2025 Marco Barozzi
